DIETRO DIABOLIK: IL FILM

DIETRO DIABOLIK: IL FILM

luglio 12, 2021 0 Di Cinema in viaggio

“Il nostro non sarà il Diabolik ‘dei Manetti’, sarà Diabolik”. Così Marco Manetti, regista – insieme al fratello Antonio – di titoli quali “Song’e Napule”, “Ammore e malavita” e ovviamente “L’ispettore Coliandro”, commenta la prossima, attesissima uscita dell’adattamento cinematografico dell’ormai immortale personaggio nato nel 1962 dalle penne di Angela e Luciana Giussani.

Diabolik è un grande personaggio con una storia decennale alle spalle. Qual è stato il tuo primo contatto con il fumetto?

Il mio primo ricordo risale al periodo delle elementari e mi dice che non era quella la prima volta che leggevo Diabolik. Erano gli anni 70 ed ero nel cortile della scuola: leggevo affascinato – un po’ di nascosto perché dopotutto Diabolik era un fumetto piuttosto violento e scabroso – il mitico numero tre pubblicato almeno sette anni prima e già diventato raro. Il fatto che mi emozionasse leggere che per la prima volta in quel volume Diabolik incontrava Eva Kant mi dice che già allora conoscevo bene il fumetto.

Ad eccezione di un Dracula un po’ atipico in “Zora la vampira”, tutti i vostri personaggi sono propriamente originali. Com’è stato confrontarsi in fase di scrittura con personaggi tanto letti, noti e amati come quelli di Diabolik?

Bella domanda. È vero, escludendo Dracula e Coliandro – che è comunque un caso un po’ diverso – è stato con Diabolik che ci siamo ritrovati per la prima volta a confrontarci con un personaggio preesistente. È stata di sicuro una grande responsabilità: quando hai a che fare con una Cappella Sistina, con un grande topos della cultura italiana e internazionale ti trovi davanti a un bivio: accontentare il fan o sentirti libero? A questa domanda noi abbiamo risposto trovando una strana sintesi: abbiamo deciso di accontentare il fan che c’è in noi. Accontentare tutti è impossibile quindi abbiamo semplicemente cercato di non deviare Diabolik in direzioni che, in quanto fan, ci avrebbero dato fastidio in prima persona. Abbiamo deciso non di fare il “nostro” Diabolik ma di essere quanto più fedeli al personaggio che amiamo.

Adattare un fumetto per il cinema è sicuramente un compito complesso. Qual è stato l’aspetto più stimolante del lavoro di trasposizione sul grande schermo?

Sicuramente è difficile individuarne solo uno, gli aspetti stimolanti sono stati tanti. Diabolik è un gran personaggio e la prima grande fortuna è stata sicuramente quella di poterlo portare al cinema. Pensando al processo di adattamento di per sé l’aspetto più difficile e al contempo stimolante è probabilmente stato di cercare di essere fedeli senza essere fumettistici: se fai un film tratto da un fumetto tutto devi essere meno che fumettistico. La sfida è capire come portare al cinema quella stessa immagine scarna data da un tratto veloce, quella espressione, quei toni di voce, quel volto. Da questo punto di vista il fumetto è anche più suggestivo del romanzo.

Quando non ambientate in set per lo più claustrofobici come nel caso di “L’arrivo di Wang”, “Paura” e “Piano 17”, le vostre storie si sono fin ora sviluppate sullo sfondo di città italiane reali. In che modo avete dato vita alla cittadina immaginaria di Clerville?

È la cosa di cui andiamo più fieri. Solitamente siamo registi molto narrativi e poco estetici, mentre qui ci siamo trovati a fronteggiare un compito decisamente estetico: inventare una città. Ciò che abbiamo fatto è stato comporre una sorta di puzzle che tenesse conto di tante città diverse: Clerville è il centro di Milano ma ancor più novecentesco, è anche i colli attorno a Bologna con l’aggiunta di qualche piccolo pezzetto di Trieste. Con tutti questi pezzi abbiamo dato vita a una città dallo stile ben definito e preciso.

Già con la vostra attuale filmografia siete riusciti a spaziare ampiamente tra generi, tipi di narrazione e personaggi molto diversi tra loro. C’è un genere in particolare con cui ti piacerebbe confrontarti?

Se considero tutti i generi che amo ma che non abbiamo ancora affrontato ce ne sono decisamente tanti. Abbiamo fatto la commedia, il cinema drammatico, il film di denuncia sociale… per quanto non vorrei mai essere limitato dai confini dei generi devo dire che mi piacerebbe molto confrontarmi con lo spionaggio. È un tipo di film che mi appassiona e mi affascina in tutte le sue sfumature: penso a James Bond, a “I tre giorni del Condor” o ancora ai film tratti da Le Carrèe; che sia da camera o più action fare un film di spionaggio sarebbe un sogno.

 

Carlotta Serretelle


Credits immagini:

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– 3: Pietro Luca Cassarino, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons