Enrico Roccaforte: un talento multiforme

Enrico Roccaforte: un talento multiforme

ottobre 7, 2019 0 Di Andrea Pedrazzi

Enrico Roccaforte sarà tra membri della giuria che decreterà i vincitori del prossimo Movievalley Bazzacinema, festival di cortometraggi in concorso. Un professionista multiforme, cimentatosi in vari ruoli fra teatro, televisione e cinema, che in questa intervista a Cinemainviaggio si racconta attraverso esperienze passate, progetti in corso d’opera e desideri futuri.

Il fervore che contraddistingue la sua carriera nasce da una passione per il cinema e per l’arte in generale che lo ha pervaso sin da ragazzo, quando da amatore non sapeva ancora esattamente quale strada intraprendere in questo intricato settore. La svolta, sostiene, arriva con l’approccio al teatro: “il teatro ha preso il sopravvento su tutto, ho lasciato l’università ed ho fatto l’attore per tanti anni in giro per l’Italia e l’Europa. Ho lavorato in Germania, Francia, Belgio e per un breve periodo in anche Spagna, dividendomi fra il tetro appunto e la danza, che era un’altra mia grande passione.”

Un periodo segnato da numerose esperienze, durante il quale Roccaforte si è fatto notare anche al di fuori del proprio ambito ed in seguito al quale sono sopraggiunte le prime richieste di provini per film o serie Tv: “Spesso io rifiutavo perché ero impegnato con il teatro che imponeva di rimanere in giro per due o tre mesi e quindi era molto difficile incastrare le varie proposte. Questo però ad un certo punto mi ha messo in crisi, perché il teatro mi richiedeva di stare continuamente lontano dagli affetti, lontano da casa e dalla mia città. Per questo motivo dopo avere dedicato molti anni a questa attività, collaborando soprattutto con il maestro Antonio Latella, oggi direttore del Festival internazionale del Teatro della Biennale di Venezia, ho deciso di fermarmi e di riacquistare il controllo sulla mia vita.”

Questo è il periodo in cui dalle esibizioni dal vivo la sua strada inizia ad avvicinarsi alle produzioni audiovisive: “Mi sono quindi trasferito a Roma, mi sono trovato un’agenzia ed ho iniziato a fare dei provini per il cinema e per la Tv. Questa decisione mi ha portato i primi lavori televisivi; ho preso parte alla seconda ed alla terza stagione di Squadra antimafia,  successivamente ho collaborato a Il commissario Montalbano, R.I.S., Catturandi e svariate fiction Rai e Mediaset. Poi sono stato a fianco di Paola Cortellesi  in un film per la Tv diretto da un autore che ha lavorato molto per il cinema e che poi si è dedicato principalmente alla televisione, ovvero Gianluca Maria Tavarelli. Qui mi sono misurato con un ruolo molto difficile, interpretando un personaggio che aveva perso la memoria in guerra e doveva seguire un percorso di riabilitazione innamorandosi poi della psicologa che lo seguiva. Durante la realizzazione di quel progetto ho capito che quella poteva essere la mia strada.”

Una scelta che apre a nuove attività, le quali a loro volta comportano nuovi ritmi, alternando periodi di lavoro intenso ad intervalli di vuoto ed attesa. Tempo che invece di andare perduto, è stato investito per ampliare le proprie competenze: “Ho iniziato a studiare con l’obiettivo di fare le mie regie a teatro, e allo stesso tempo per dedicarmi a mia volta all’insegnamento, che è una cosa che mi è sempre piaciuta sin da quando ero piccolo. Quindi negli anni successivi ho continuato a lavorare sulla formazione ed il ruolo di regista e di “coach” ha preso il sopravvento su quello dell’attore. Insieme a Clara Gebbia ho creato la compagnia “Umane Risorse”, con la quale ho realizzato i primi spettacoli da regista ottenendo buoni riscontri. Abbiamo vinto dei premi e anche delle produzioni al Teatro di Roma e al Teatro Biondo a Palermo, allestendo degli spettacoli con i quali siamo rimasti in giro per parecchio tempo. Io in quel caso mi occupavo principalmente del rapporto fra teatro e musica. Attuando una ricerca polifonica abbiamo lavorato con dagli attori che erano anche dei cantanti e con essi siamo riusciti a creare Il Rosario , che ci ha impegnati per quattro anni e Paranza, che ha vinto l’edizione de “I Teatri del Sacro” a Lucca e che poi è stato coprodotto appunto dal Teatro Biondo e dal Teatro di Roma.”

Parallelamente a questi impegni non è mancata la coltivazione delle velleità didattiche: “Ho cominciato ad insegnare recitazione. Prima per il teatro e successivamente, negli anni recenti, anche per il cinema. In precedenza ho insegnato all’Accademia Bordeaux, mentre ora lavoro alla Roma Film Academy che è una scuola a Cinecittà. Ho svolto molte attività di “coaching”, dapprima privato e poi con le produzioni. Ho contribuito in veste di “dialogue coach” ed “acting coach” alle prime due stagioni de Il Cacciatore di Stefano Lodovichi e Davide Marengo, lavorando principalmente sull’adattamento dei dialoghi dall’italiano al siciliano. Nella seconda stagione ho anche avuto modo di intervenire sulla recitazione vera e propria, affiancandomi ad attori come Francesco Montanari ed Edoardo Pesce.”

 

 

Un altro progetto molto importante è Guerra di parole, coltivato assieme a Flavia Trupia, che vede Roccaforte nel ruolo di coach per carcerati e universitari: “Li preparo ad uno scontro retorico di cui poi curo la regia. Anche questo è un lavoro che ha preso piede e si è espanso. Ora, di anno in anno, cambiamo città e carceri. Lo abbiamo fatto a Roma con una collaborazione tra l’università di Tor Vergata ed il carcere Regina Coeli, siamo stati a Napoli dove abbiamo coinvolto la struttura di Poggio Reale e l’Università Federico Secondo, mentre il prossimo anno saremo a Milano nel carcere di San Vittore e presso l’Università Statale.”

Parliamo quindi di un percorso estremamente denso, in cui non sono mancate anche le incursioni in panni attorali nel mondo del cinema, tra cui spiccano collaborazioni eccellenti come quella con Giuseppe Tornatore in Baaria o in anni più recenti quella con Giorgia Farina nella commedia Amiche da morire, o con Matteo Rovere per Gli spietati. Ruoli che di recente si sono fatti sempre meno frequenti per una scelta personale di Roccaforte, focalizzato giustamente sulla miriade di progetti che assorbono tempo ed energie, ma anche in attesa di un ruolo rilevante “non necessariamente da protagonista, ma quantomeno da antagonista”. E poco importa se questo arriverà dal cinema o dalla serialità televisiva: “In precedenza puntavo più al cinema perché poteva garantire una qualità superiore rispetto alla Tv, ma ora con l’avvento di canali satellitari, pay Tv e piattaforme streaming, anche la serialità ha subìto un netto innalzamento di livello. Il Cacciatore, per esempio, è già una serie di portata internazionale, che punta sull’esportazione e che collocata su Amazon Prime può essere vista in America piuttosto che in Cina. Questo probabilmente è il nostro futuro e quindi la mia idea sarebbe quella di continuare a dedicarmi alle mie attività, trovando però anche il tempo di lavorare come attore o regista per i prodotti seriali di emittenti quali Mediaset e Rai o le più recenti Sky e Netflix.”

Oltre alla carriera personale, però, viene manifestato il desiderio di mettere la propria esperienza a disposizione delle nuove forze che si accostano al mondo dell’arte: “Nutro una grande curiosità nei confronti dei giovani in generale. Questa mi porta da un lato a vedere tantissimi cortometraggi ed opere prime nate da piccole produzioni realizzate da e per i giovani. Allo stesso tempo sfrutto il mio ruolo di insegnante affiancandomi non solo agli interpreti, ma anche ai registi per gli aspetti che riguardano la direzione degli attori. Quando è possibile intervengo anche in altre settori per fare in modo che i giovani lavorino con materiale di qualità. Questo grazie alla scuola, che ci permette di leggere le sceneggiature dei giovani autori e seguire poi tutte le fasi di evoluzione delle opere.”

A questo proposito chiediamo quale sia il suo rapporto con il cortometraggio in quanto forma di prodotto e linguaggio audiovisivo. Anche in questo caso le idee sono chiare: “Penso che i cortometraggi siano necessari per mettere alla prova le persone che vogliono fare cinema. In Italia ci sono molti festival di cortometraggi, io sono stato spesso inviato come giurato al Bazzacinema ma anche ad altre rassegne, per esempio a Palermo oppure a Roma, dove ogni anno ci sono circa una decina di festival dedicati ai corti. sono molto partecipati, ma il problema è che poi la distribuzione dei corti si ferma là. C’è stata per un periodo un’iniziativa dell’ANICA che prevedeva di affiancare dei cortometraggi scelti dalla produzione a dei film italiani distribuiti nelle sale, e quella era stata un’idea molto intelligente. Ora si realizzano molte opere, ma la qualità alle volte può non essere ottimale perché non sempre c’è l’interesse da parte delle produzioni ad investire sui corti. Quindi succede che anche delle idee valide vengano talvolta realizzate male perché non ci sono i soldi sufficienti. Per queste ragioni credo che servirebbe un interesse maggiore da parte delle produzioni e una loro maggiore predisposizione a stanziare dei budget che diano a chi vuole girare la possibilità di farlo con una certa qualità. Con l’avvento del digitale le spese si sono abbassate notevolmente, quindi bastano pochi mezzi per girare un corto di buon livello.”

Vantaggio che però viene poco sfruttato in un contesto nel quale persiste la tendenza a fornire compensi irrisori, o addirittura nulli, alle maestranze coinvolte nella realizzazione dei corti ed in cui anche le produzioni più ambiziose faticano a trovare i fondi necessari: “Una soluzione è affidarsi alle varie Film Commission, e quindi decidere di realizzare le opere su un preciso territorio raccontandone i luoghi e le persone. Però se, come nel caso del corto che ho scritto io, una storia è ambientata principalmente in interni viene meno l’interesse da parte degli interlocutori. Quindi, in sintesi, credo che l’interesse degli investitori sia molto inferiore rispetto alla potenzialità reale di questa tipologia di prodotto. Spesso gli esordienti si trovano a racimolare dei budget modesti per girare il loro primo cortometraggio che magari lascia intravedere un grande talento, ma che comunque non può essere un capolavoro perché i mezzi a disposizione non sono all’altezza. E questo pare evidente quando nei festival si vedono opere nazionali accostate a cortometraggi stranieri dietro ai quali si vede un adeguato sforzo produttivo. Inevitabilmente la loro qualità tecnica è parecchio superiore rispetto a quelli italiani.”

Questo problema si estende ben oltre il contesto del cortometraggio e la convinzione è quella che il salto di qualità di cui il sistema produttivo italiano necessita non avverrà fino a quando il cinema non diventerà un’industria in grado di superare le sue forme attuali e ormai obsolete: “(in Italia) se un produttore non riceve un finanziamento statale non si muove, quando in altri paesi molte case di produzione hanno il coraggio di rischiare, pur non avendo la certezza di un ritorno. Qui invece si tende ad andare sul sicuro. Poi un altro problema è che purtroppo oggi i film italiani che incassano sono molto pochi e soprattutto non c’è più la logica del reinvestimento. Oggi se un film con Zalone incassa decine di milioni di euro, quei soldi non vengono utilizzati per produrre altri tre film, come invece si faceva un tempo. C’erano filoni cinematografici che portavano un sacco di soldi nelle casse della produzioni e questi, in parte, andavano poi a finanziare le opere di grandissimi autori come Fellini o Antonioni. Adesso purtroppo non è così. Le maggiori possibilità in Italia oggi si trovano nella serialità, perché nel produrre delle opere seriali pensate per l’esportazione c’è una maggiore propensione da parte degli investitori a mettere sul campo delle cifre più consistenti. Quindi oggi un regista è molto più motivato a dirigere una serie Tv per la quale a sua disposizione ha cinque o sei milioni di euro per un certo numero di puntate, piuttosto che un piccolo film da duecentomila euro che risulterà sempre un po’ limitato tecnicamente.”

Prima di congedarci abbiamo interrogato Enrico anche riguardo ad un tema a noi molto caro: quello del turismo. Alla domanda sui luoghi che maggiormente lo hanno colpito nei suoi spostamenti lavorativi, e non solo, Roccaforte si dichiara un grande viaggiatore: “Ho girato quasi tutta l’Europa e sono stato in tanti posti in giro per il mondo dove ho visto delle cose meravigliose. Dal Sud-Est asiatico al Sud America, piuttosto che l’Est europeo che è assurdo, con dei posti bellissimi, segnati purtroppo da delle condizioni di vita molto difficili. Per quanto riguarda l’Italia, invece, ho avuto modo di viaggiare molto grazie al teatro, soprattutto nei miei primi quindici anni di carriera. In questo caso raccomando tantissimo la luce della Sicilia e in generale la luce del Sud Italia che considero molto cinematografica. Se penso a dei luoghi mi vengono in mente le Gole dell’Alcantara vicino a Catania, oppure la Tonnara di Scopello, piuttosto che alcuni scorci bellissimi della zona marittima pugliese. In alcuni casi la Film Commission della Puglia produce film ambientati in Sicilia che in realtà sono girati in location pugliesi perché le caratteristiche del paesaggio sono simili. Perciò vorrei sottolineare le possibilità visive prodotte dalla luce e dal territorio di questi luoghi, i quali credo vengano sfruttati poco. Penso che in Sicilia si potrebbero fare molti più film, si gira già molto ma è una terra che potrebbe dare molto di più per le sue caratteristiche effettive, ma sfortunatamente anche qui si trovano pochi referenti.”

Andrea Pedrazzi