Fabio Bonifacci e la commedia come trasfigurazione del reale

Fabio Bonifacci e la commedia come trasfigurazione del reale

ottobre 16, 2019 0 Di Andrea Pedrazzi

Fabio Bonifacci è uno degli sceneggiatori italiani più popolari e richiesti degli ultimi anni. Autore di commedie dal grande successo commerciale come Benvenuti al Nord (2012), Il principe abusivo (2013) o Benvenuto presidente! (2013), ma anche di opere dalla portata più modesta, ma ricche di originalità e brillantezza come Si può fare (2011), Metti la nonna in freezer (2018) oppure il recentissimo Mio fratello rincorre i dinosauri (2019).

Bonifacci sarà ospite del Movievalley Bazzacinema, dove presenzierà al talk show “Dietro la sceneggiatura” previsto per la serata di mercoledì 23 ottobre 2019. Per l’occasione abbiamo realizzato una breve intervista in cui lo sceneggiatore bolognese ha avuto modo di parlarci della sua carriera e di svelare qualche curiosità sui suoi lavori terminati e su quelli ancora in corso.

Il percorso che ha portato Bonifacci alla scrittura per il cinema, e ad essere oggi una delle figure principali del settore a livello nazionale, non è stato facile ed immediato. La volontà iniziale era addirittura un’altra, ovvero quella di diventare uno scrittore di romanzi: “Ne ho anche scritti diversi da giovane, ma devo ammettere che erano brutti. La trama era tutta storta, andava a zig-zag in maniera poco lineare. Quindi ho deciso di dedicarmi alla sceneggiatura dopo aver scoperto dei manuali, diffusi principalmente in America all’epoca, nei quali venivano spiegati i passaggi per costruire una storia per il cinema. Mi sono appassionato, ho scritto la prima per caso, la quale poi non è mai stata trasposta in un film, ma che ha contribuito a far nascere la volontà di diventare sceneggiatore. Poi c’è voluto molto tempo, circa dieci anni, prima di realizzare questo mio intento. Scrivevo un film all’anno, vivevo a Bologna e quindi non avevo grandi contatti con il mondo del cinema. Spedivo i miei lavori alle produzioni, ma non mi rispondeva nessuno. Poi finalmente uno di essi è stato realizzato, E allora mambo (1998). I produttori erano rimasti stupiti da quest’opera, dicevano ‘sembra che questo abbia scritto dieci film’ e infatti era proprio così, solo che nessuno aveva letto i miei testi. Questo ha richiamato l’attenzione su di me, perciò da quel momento in poi ho iniziato ad essere contattato abbastanza spesso ed ho iniziato la mia carriera nel mondo del cienma.”

Fin dal suo esordio il genere prediletto è stato quello della commedia, del quale oggi è senzaa dubbio un tra gli esponenti più rilevanti. Riguardo al proprio rapporto con questa tipologia di racconto, Bonifacci rivela: “Quando io ho iniziato ad avvicinarmi alla sceneggiatura, la commedia nel cinema italiano non era diffusa come oggi. Infatti anche nei rari casi in cui riuscivo a contattare i produttori, essi mi rispondevano che quello era un genere che non si faceva più nel nostro paese. Perlomeno non nella maniera in cui la intendevo io, che si concentrasse sulla storia, piuttosto che sui siparietti comici. Esisteva solamente il cinema d’autore oppure delle commedie “pop” di bassissimo livello, dai film di Natale a quelle di Pierino. Quindi una commedia con una trama solida, che affrontasse anche temi sociali riuscendo comunque a far ridere il pubblico, metteva in difficoltà i produttori perché non sapevano a quale regista affidarla ed a quali attori farla interpretare. Però quello era il linguaggio che a me veniva più istintivo, per una mia propensione, che mi accompagna quotidianamente, a vedere l’aspetto umoristico anche nei drammi. Mi veniva quindi spontaneo farlo anche nei racconti. Per anni ho scritto storie improntate su questo registro senza essere considerato, poi, quando ho iniziato effettivamente a lavorare in questo ambito, ho avuto la grande fortuna che la commedia sia improvvisamente tornata di moda. A quel punto hanno iniziato a chiamarmi tutti, ma è stato un caso, diciamo. Io all’epoca ho iniziato dedicandomi ad un genere anticommerciale, che poi nel giro di dieci anni è diventato quello più diffuso.”

A distanza di vent’anni, infatti la commedia è il genere maggiormente prodotto e comune all’interno del cinema italiano. Il mercato è pressochè saturo di commedie, con effetti anche controproducenti dal momento che, stando agli incassi degli ultimi anni, sembra che il pubblico sia sempre meno attratto da questo tipo di prodotti. A questo proposito Bonifacci commenta: “Sicuramente uno dei problemi è che negli scorsi anni si sono realizzate troppe commedie, solo per il fatto che queste andavano bene al botteghino e senza guardare troppo alla qualità di queste opere. Evidentemente sono state distribuite troppe commedie che al pubblico non sono piaciute, con una conseguente disaffezione nei confronti di questo genere. Io credo che oggi la commedia abbia ancora molto da dire, ma ritengo che debba essere trattata molto seriamente. Sembra un paradosso, ma è così. Mi danno molto fastidio quelli che credono che il linguaggio della commedia basti a giustificare delle forzature nella trama. La commedia deve essere trattata con serietà, soprattutto per esprimere una certa visione del mondo che le è propria ed è molto diversa dal linguaggio che porta alle facili risate per incassare soldi. Se realizzata secondo questi criteri è un genere che ha ancora moltissimo da dire. Specialmente in un mondo in cui, secondo i dati dell’OMS, la depressione riguarda una persona su tre, saper descrivere la realtà con lo sguardo della commedia può essere di grande aiuto.

 

Uno stimolo per la commedia potrebbe essere anche quello di essere affiancata da altri generi. Una maggiore diversificazione all’interno dell’offerta produttiva italiana potrebbe risvegliare l’interesse del pubblico e portare dei benefici anche per la commedia stessa: “Credo la diffusione di altri generei possa essere qualcosa di favorevole. Il vero problema è che queste dinamiche sono fortemente condizionate dalle scelte del pubblico. Le decisioni non sono prese dai cattivi distributori, ma strettamente ancorate alle scelte del pubblico. Se il pubblico iniziasse ad andare a vedere dei thriller italiani, probabilmente se ne produrrebbero di più. Chi decide dove investire i soldi guarda alle propensioni del pubblico. Poi è chiaro che noi dobbiamo anche essere chiamati a sorprendere gli spettatori, dando loro qualcosa di nuovo e dal forte impatto, e qui l’esempio più calzante è Lo chiamavano Jeeg Robot (2016) ovviamente, però è un po’ come in politica: alla fine decidono gli elettori.” E non è una questione di accontentare il pubblico, quanto una necessità pratica degli investitori, il cui scopo è necessariamente “quello di pareggiare i conti. Perché nessuno oggi si pone nelle vesti del benefattore e spende tre milioni senza avere la possibilità di un ritorno economico. Il cinema è un’industria costosa ed in quanto tale deve tendenzialmente puntare ad una situazione di pareggio. Poi certamente si può rischiare con dei prodotti più audaci, che magari faticheranno ad incontrare i gusti del grande pubblico, ma potrebbero andare bene ai festival, ma allo stesso tempo è necessario che ci siano anche dei film che permettano di avere dei guadagni, altrimenti viene meno la possibilità di produrre.”

Riguardo ai progetti attuali, Bonifacci racconta però di essere passato a dei toni meno leggeri: “Sto lavorando ad una serie Tv che è molto drammatica. L’ho fatto proprio per la necessità di cambiare tono.  Sono passato alla serialità perché, al momento, il drammatico al cinema fa piuttosto fatica e nella fiction televisiva invece funziona molto meglio. Parallelamente a questo continuo però anche a fare commedie, le quali però contengono anche delle sfumature di dramma, come ad esempio il mio ultimo film uscito in sala Mio fratello rincorre i dinosauri. Ho lavorato anche ad un’altra serie, che sarà trasmessa da novembre su Rai 1 e s’intitolerà Ognuno è perfetto, la quale tratta di alcuni ragazzi con la sindrome di Down e che ha proprio quel tipo di tono: ironico ma allo stesso tempo tragico. Io credo molto all’ibridazione dei generi”. Un percorso che quindi si dipana tra serialità e lungometraggi, per i quali non viene esplicitata una preferenza di formato, quanto più la volontà di spaziare tra toni differenti.

Un aspetto fondamentale nelle opere di Fabio Bonifacci è infine costituito dal rapporto con il reale ed il contesto che ci circonda: “Una commedia che non parla di realtà non mi interessa, ma allo stesso tempo la commedia non deve nemmeno essere piattamente realistica, perché la realtà la vediamo tutti i giorni, sia io che il pubblico. Perciò nel descrivere il mondo esattamente com’è io mi annoio e si annoierebbero anche le persone che vedono il film. Quindi la realtà deve essere trasfigurata in un altro linguaggio. Il racconto del reale deve essere il fine di fondo, ma non il fine immediato.”

Andrea Pedrazzi