L’Uomo contro la Natura: La Società della Neve

L’Uomo contro la Natura: La Società della Neve

maggio 17, 2024 0 Di Cinema in viaggio

 

Il freddo e la forza brutale della Natura contro la determinazione dell’essere umano. La Spagna si è presentata agli ultimi premi Oscar 2024, nella sezione dedicata al miglior film internazionale, con La Società della Neve del regista Juan Antonio Bayona, una storia basata sull’omonimo libro di Pablo Vierci e su fatti realmente accaduti nelle Ande nel 1972. Il 13 ottobre di quell’anno un aereo Fokker/Fairchild planò sui cieli dell’Uruguay, con la partenza da Montevideo, per poi scomparire tra le montagne innevate dell’Argentina. I 45 passeggeri a bordo, tra cui la squadra di rugby uruguayana dell’Old Christians Club, erano diretti verso la capitale cilena di Santiago. Un viaggio iniziato con gli abbracci e i saluti ai parenti, che molti di loro purtroppo non avrebbero mai più rivisto.

I momenti dello schianto dell’aereo, che fece uno scalo a Mendoza proprio a causa delle precipitazioni previste, vengono raccontati con drammaticità e sofferenza dalla voce narrante di Numa Turcatti e dal ritmo incessante della musica di sottofondo, che crea così un climax crescente, intensificato dagli sguardi disperati dei piloti del mezzo. Errori di calcolo e una discesa anticipata dell’aereo verso l’enorme cordigliera sudamericana hanno indotto lo scontro del Fokker con i fortissimi venti delle Ande.

Da qui inizia una storia di sofferenza e lotta da parte dei primi superstiti dopo l’impatto, scioccati alla vista delle persone morte e dell’aereo completamente distrutto. Uno dei giocatori della squadra di rugby, Fernando Parrado, si risveglia tre giorni dopo l’impatto, abbracciato dalla sorella Susanna, e viene a sapere della tragica scomparsa della madre; nella scena il respiro del giovane ragazzo si blocca, facendo riaffiorare i ricordi nitidi e colorati dei saluti con amici e parenti prima della partenza. Un’esperienza che mette a dura prova i passeggeri dell’aereo, travolti dalle temperature gelide delle Ande argentine e dall’assenza di cibo intorno a loro: “Questo è un posto dove vivere è impossibile, siamo noi gli estranei qui”, una citazione del film che riassume il senso di impotenza dei superstiti di fronte alla potenza brutale della Natura. Le risorse finiscono dopo un po’ di giorni e comincia così un dibattito tra le persone ancora vive sulla possibilità di nutrirsi utilizzando i corpi dei passeggeri morti, sistemati in mezzo alla neve. Un’immagine macabra e surreale, che descrive perfettamente la difficoltà delle condizioni in cui si ritrovarono i dispersi. “Dio ci perdonerà?” uno dei tanti quesiti che si pongono i superstiti di fronte a una decisione necessaria per continuare a sopravvivere. Il capitano della squadra di rugby Marcelo Perèz è uno dei pochi che inizialmente si rifiuta di cedere alle proprie esigenze, ma una notizia gli fa cambiare idea: le ricerche dei dispersi nelle Ande da parte elicotteri e dei soccorsi sono terminate e riprenderanno all’inizio del 1973.

Lacrime, urla e la sensazione di essere ancora di più intrappolati tra le fredde e innevate montagne argentine. Inizia così la parte principale della pellicola, in cui avviene un cambio di mentalità da parte dei protagonisti, prima speranzosi e in attesa di un aiuto dall’alto, adesso arresi al destino di una lenta e stancante lotta per la sopravvivenza. L’unica luce in fondo al tunnel proviene dalla frase di Fernando ad uno stremato Numa: “Dietro a queste valli innevate c’è il Cile. Dobbiamo superarle”. Parole di conforto, uno stimolo per continuare a combattere. Ma una terribile bufera travolge nuovamente l’aereo, in cui i superstiti si stavano rifugiando, interrompendo il primo momento di serenità dopo 17 giorni dall’impatto. “Respira amore mio sei la mia vita!”, la frase di Javier Methol alla moglie Liliana intrappolata nella neve riempie di angoscia l’interno dell’aereo, adesso sepolto sotto la valanga. Dopo giorni al buio, Numa Turcatti si dà forza e inizia a sgretolare il ghiaccio sopra la sua testa per risalire verso l’esterno e ritrovare finalmente la luce solare. Ma lo sforzo lo porta a ferirsi gravemente alla caviglia, costretto a rimanere fermo, per poi morire lentamente. “Mi chiedo chi le vedrà queste nostre foto”, aveva sentenziato poco prima guardando il proprio compagno di squadra Antonio Vizintin immortalare i sorrisi amari dei superstiti: la morte di Numa rappresenta l’uscita di scena del narratore del film, che, nonostante il suo animo determinato e testardo, aveva perso le proprie speranze e aveva lasciato per la prima volta trasparire le proprie emozioni, sconfitto dalla forza della Natura.

Nella parte conclusiva del film, Fernando Parrado e Roberto Canessa si spingono, con una prova di forza impressionante, tra gli ostacoli delle montagne innevate e le notti gelate, oltre la sponda argentina, raggiungendo il Rio del Azufre su una valle cilena. Non c’è più la distesa bianca della neve, ma tanta acqua e immense praterie verdi. Ma soprattutto un uomo a cavallo con cui riescono a comunicare per avvisare il Servizio di Soccorso Aereo Cileno. Una musica di vita e speranza risuona in sottofondo, con gli altri superstiti, rimasti vicino all’aereo nelle Ande argentine, che vengono a sapere degli elicotteri in arrivo. Nonostante la sofferenza patita nei precedenti due mesi, trovano tutti la forza di sistemarsi, darsi una ripulita per abbracciare finalmente una società che li aveva dimenticati tra le fredde montagne. Si allontanano con i soccorsi da quella zona che li aveva tenuti prigionieri, guardando con incredulità l’aereo distrutto, ricordando l’incubo che avevano attraversato. Sedici sopravvissuti tornarono dalle loro famiglie dopo quell’esperienza crudele nelle Ande, con la voce narrante del compianto Numa che esalta il lavoro svolto e la determinazione che permise ai superstiti di raccontare una storia diventata tragicamente famosa: “Tutti siamo stati fondamentali”.

Proprio come nel rugby, 45 persone lottarono fino alla fine per raggiungere un obiettivo unico da squadra. La maggior parte non arrivò in fondo a questi due mesi, come il 20enne Gustavo Nicolich, che aveva scritto in una lettera per i genitori: “Chiedo continuamente a Dio che mi permetta di vedervi ancora una volta”. Molte altre di quelle persone purtroppo non riuscirono ad abbracciare nuovamente i propri cari, ma alla domanda che si ponevano i 16 superstiti “Che senso ha essere tornati senza i nostri compagni morti”, risponde il monito del narratore Numa, che chiede solo una cosa: “Raccontate a tutti quello che abbiamo fatto tra le montagne”.

 

Fonte foto:

1)Aereo distrutto, fonte: 9News.com

2)Superstiti, fonte: TheJournal.com

 

Pietro Amendola