A tutto Jazz!

A tutto Jazz!

febbraio 28, 2020 0 Di Cinema in viaggio

Un rapporto profondo e quasi centenario lega il cinema a questo genere musicale

E Bologna risponde con un libro

 

Jazz e cinema sono legati da un rapporto molto stretto, che vanta quasi cento anni di collaborazione dalla quale è nato il cosiddetto “jazz film”, un genere dedicato soprattutto alla documentazione delle esibizioni musicali.
La prima opera di questo filone di cui abbiamo traccia è un film muto, oggi perduto, in cui appariva l’Original Dixieland Band The Good For Nothing (1917). Passando all’epoca della nascita del sonoro, nel 1927 viene proiettato The Jazz Singer, film parodia del jazzista nero che suona musica immorale. Il 1929 coincide con la diffusione del sonoro su larga scala, la nascita degli all negroes movies, sotto genere dedicato ad un pubblico esclusivamente nero, e la crisi economica. Il jazz continua a fare da cornice a questi film ma la vera anima del jazz degli anni ’30 si ritrova soprattutto nei corto o medio-metraggi, tra cui Black and Tan Fantasy di Dudley Murphy, dove viene ripresa l’orchestra di Duke Ellington. Fu poi Jammin’ the Blues a portare alla luce la vera essenza del jazz. In questo corto del 1944 Gjon Mili metterà in scena i grandi musicisti jazz nell’atto del loro sforzo creativo. Si tratta del primo step di un processo che rivoluzionerà il jazz, accantonando la sua immagine folcloristica per convertirlo in vera arte.

Così nella Hollywood anni cinquanta il jazz diventa uno strumento attorno al quale costruire nuove storie. Otto Preminger fu uno dei pochi ad inserire il jazz nei suoi film, non solo come tema ma soprattutto come colonna sonora. Nel suo film Anatomia di un omicidio, la musica diventa un’estensione della personalità del protagonista. La colonna sonora fu composta su misura da Duke Ellington, dimostrando ancora il prefetto connubio tra jazz e cinema. Negli anni sessanta questo connubio si fa ancora più stretto, soprattutto tra gli indipendenti americani e gli avanguardisti europei. Il risultato di queste collaborazioni appare al meglio nel film di Louis Malle, Ascensore per il patibolo, che si avvalse del jazzista Miles Davis per improvvisare la colonna sonora sullo scorrimento delle immagini. Dagli anni ottanta in poi, con la scomparsa di molte stelle del jazz classico, la cinematografia si concentra di più a rappresentare il jazz nelle forme del biopic e della fiction. Ecco quindi arrivare film come Cotton Club di Francis Ford Coppola o Bird di Clint Eastwood, che mettono in scena le storie vere di chi, quella musica, l’ha creata e sviluppata. Ai giorni nostri, il jazz continua a permeare le colonne sonore di molti film anche se raramente ritroverà quel perfetto connubio raggiunto nelle avanguardie anni ’60.

Recentemente anche a Bologna sono stati prodotti due film documentari “Bologna città del jazz: jazz city” (2002), una sintesi audiovisiva di quanto raccolto dal prof. Giardina; “My main man – Appunti per un film sul jazz a Bologna” dal taglio più cinematografico, dove i frammenti di storia del jazz a Bologna (ricostruita soprattutto attorno alla figura-cardine dell’organizzatore Alberto Alberti) sono alternati agli interventi dei jazzisti, afroamericani e non, che hanno suonato nelle edizioni del Festival Internazionale e non solo.

Dal secondo dopoguerra, Bologna ha vissuto col jazz un rapporto profondo e continuativo: la pratica musicale di dilettanti e professionisti, la grande vitalità di locali e cantine, la ricorrenza quasi ventennale del Festival Internazionale del Jazz ha portato il capoluogo emiliano ad essere riconosciuto quale centro di riferimento a livello nazionale ed europeo, tanto da designarlo “città del jazz”; un aspetto che oggi costituisce uno dei vanti di Bologna nel campo culturale.

La ricchissima attività musicale che si è sviluppata in questi decenni ha avuto palcoscenici molto diversi, tutti apprezzati da un pubblico sempre più ampio: le strade del centro storico, alcuni dei principali teatri, molti ristoranti e blasonate osterie e infine un’ampia schiera di cantine, “nascoste” nella città sotterranea, situate sotto nobili palazzi bolognesi, dove le note del jazz hanno espresso tutta la loro forza in un ambiente underground, magico e suggestivo.

E proprio in una di queste cantine è nata oltre 60 anni fa la Rheno Dixieland Band, poi divenuta Doctor Dixie Jazz Band, tuttora attiva e seguita da numerosi appassionati, che ascoltano musicisti di varie età esibirsi ogni venerdì sera in via Cesare Battisti 7/b.

Uno dei suoi membri fondatori, ancor oggi anima di questo importante complesso musicale, Checco Coniglio, ha scritto per Minerva “Jazz Band”: dagli esordi come gruppo universitario, alle sfide tra jazz band, sino ad arrivare al Festival Internazionale del Jazz, questo volume regala uno straordinario affresco della storia del jazz nel capoluogo emiliano.

Checco Coniglio non è né uno scrittore né un musicista professionista (si è infatti laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Bologna nel 1966), ma ha vissuto esperienze incredibili in un periodo storico carico di sogni e speranze.

Attraverso il suo sguardo si ripercorre e si rivive lo sviluppo e la straordinaria crescita del jazz a Bologna, che ne diventò uno dei suoi principali templi: si assiste alla nascita di giovani jazz band amatoriali, nelle quali si esibirono ragazzi poi diventati artisti del calibro di Lucio Dalla e Pupi Avati, si rivivono le battaglie fra jazz band – che animavano la città emiliana come New Orleans –, si incontrano i grandi personaggi che hanno portato il jazz a Bologna come Alberto Alberti, Cicci Foresti, Amedeo Tommasi, Francesco Lo Bianco, Nardo Giardina… e si riassaporano le atmosfere del lungo percorso del Festival Internazionale del Jazz, che arrivò a portare in città il meglio dei musicisti mondiali.

Un bellissimo spaccato di una Bologna in cui era facile incontrare, a passeggio fra vie e negozi, Gerry Mulligan, Percy Heath, Chet Baker, Johnny Griffin, Cedar Walton, Gato Barbieri, a cui si affianca la storia meno conosciuta di giovani che hanno vissuto la passione e l’amore per la musica con un’urgenza tale da permettergli di vivere bellissimi e lunghissimi periodi di grande socialità e divertimento.

Checco Coniglio è partito da zero con un trombone preso a noleggio nel 1957, ha vissuto l’emozione di oltre mille concerti, ha attraversato la storia di numerose jazz band fra cui la nota Rheno Dixieland Jazz Band, che più di tutte ha raggiunto gli onori di un grande successo a livello nazionale e non solo. Speranze, sogni e delusioni di giovani ragazzi degli anni Sessanta che hanno avuto il coraggio, la determinazione e la fortuna di innamorarsi della musica, che li ha ricompensati portandoli in giro per il mondo in tournée che hanno toccato Madrid, Barcellona, Cap d’Antibes, Düsseldorf, Zurigo…

Un racconto vivido, ironico, privato, che ha il pregio di svelare episodi che solo chi ha potuto frequentare “i dietro le quinte” di quegli anni mitici avrebbe potuto raccontare. Anche grazie alla narrazione di un Autore dotato di un forte senso dell’umorismo, questo volume è un vero e proprio scrigno di episodi, quadretti, momenti, eventi, vicende e situazioni comiche, che lo rendono estremamente piacevole nella lettura.

 

Mario Carlo